Ricordi il primo giorno in cui hai cercato il tuo nome su Google?
Quella piccola scarica di adrenalina mentre scorrevi i risultati sperando di trovare te, la tua identità, distinta, riconoscibile, unica? Ecco. Ora immagina di lanciare un nuovo prodotto, lavorarci mesi, costruirci intorno un racconto tutto italiano, evocare le coste liguri, la Dolce Vita… e poi farlo somigliare (troppo) a una Coca-Cola Zero. È quello che è successo — almeno visivamente — al nuovo Chinotto Ferrarelle.
L’hai visto? Lattina sottile, rossa metallizzata, font nero.
Nel feed di LinkedIn (qui il link al post), tra un post aziendale e l’altro, l’ho scambiata per una Coca-Cola Zero.
Poi ho letto: “con infuso di chinotti di Savona” e mi si è accesa una spia: ok, no, non è quello che sembra.
Il problema non è solo estetico: è strategico
Nel mercato affollatissimo delle bevande, la differenziazione non è un dettaglio di design. È sopravvivenza. E no, non basta la qualità del prodotto, né lo storytelling “made in Italy”. Se sullo scaffale sembri un altro, perdi la battaglia ancora prima di iniziare. L’identità visiva è come la voce in una stanza piena di gente che parla. Se non è tua, nessuno si gira a guardarti.
Il Chinotto Ferrarelle e l’occasione persa del Visual Hammer
Se hai letto il mio articolo sul Visual Hammer (lo trovi qui), sai già dove voglio arrivare.
Per chi se lo fosse perso: un visual hammer è un elemento visivo così forte da imprimersi nella mente. Collega il messaggio al brand.
Pensa alla bottiglia di vetro contour della Coca-Cola. O alla corona gialla di Burger King.
E ora pensa: qual è il visual hammer del Chinotto Ferrarelle?
Già. Difficile dirlo.
Peccato, perché l’idea alla base del prodotto è interessante: valorizzare un sapore tipicamente italiano, usare agrumi locali, esaltare l’effervescenza naturale Ferrarelle. Ma se il packaging richiama quello di un colosso internazionale, il rischio è che il tuo “prodotto italiano autentico” venga percepito come la copia economica dell’originale.
Nel branding, la confusione visiva è una tassa occulta che si paga in silenzio, ogni giorno, con meno clic, meno vendite e meno memoria nella testa delle persone.
Cosa possiamo imparare (anche se non vendiamo bibite)
- Mai affidarti solo al racconto testuale
Il copy può essere perfetto, poetico, sensoriale. Ma se l’occhio non distingue il tuo prodotto a colpo d’occhio, non importa quanto sia “coltivato sulle coste liguri”. - Sviluppa un’identità visiva che parli anche da spenta
Pensa ai tuoi contenuti social, al tuo sito, al tuo logo.
Se togli il nome, si riconoscono lo stesso? - Fatti sempre la domanda: “Potrei essere scambiato per un altro?”
Se la risposta è sì, cambia qualcosa. Subito.
In conclusione: più Chinotto Ferrarelle, meno fotocopie
Ferrarelle ha ancora tempo per aggiustare il tiro. Il prodotto potrebbe avere successo, ma oggi, più che mai, è l’identità visiva a decidere se il primo sorso verrà mai preso.
Tu, nel tuo settore, hai il coraggio di distinguerti? Oppure stai ancora scegliendo il colore “che va di moda”?
Se senti che il tuo brand ha bisogno di una bella rinfrescata (senza sembrare una copia), scrivimi. Non faccio bibite, ma ti aiuto a far diventare il tuo messaggio… frizzante.
Disclaimer: Non sto dicendo che il Chinotto Ferrarelle non sia buono. E non sto nemmeno dicendo che questa nuova bibita sarà un buco nell’acqua — o nel chinotto.
Il mio non è un giudizio sul prodotto, ma un’analisi basata sui principi del branding che applico ogni giorno con chi vuole costruire un’identità forte e riconoscibile.
Perché anche la miglior ricetta ha bisogno di un vestito che si faccia ricordare.